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giovedì 1 novembre 2012

Interviste di talento: Roberto Fraschetti, il coraggio di uno scrittore...

Roberto Fraschetti è uno scrittore coraggioso. Romano, classe 1962, nel luglio del 2009 ha deciso di abbandonare definitivamente un posto di lavoro in banca per dedicarsi alla scrittura. Cinque i libri finora pubblicati, da ‘Valle di Luna’ del 2001, ambientato nel deserto della Giordania, a ‘Stella del Sud’ del 2003, libro di viaggio incentrato sulla narrazione dell’ incontro con il mondo latino-americano, per passare poi a ‘Viva Miguel’ del 2006, ambientato nella foresta amazzonica, fino a ‘Nera delle Dune’ del 2008, che descrive la Libia di metà anni ’30. La più recente fatica letteraria, ‘Tabacco’, risale al 2011, primo volume di un ‘ciclo sudamericano’ di cui Roberto ha già pronto l’ultimo libro, e per il quale sta lavorando agli altri due. Viaggiatore instancabile, nel 2006 l’invito alla ‘Semana de la Cultura Italiana nel mondo’ come autore straniero lo fa approdare in Perù, un soggiorno in sud America che durerà ben sei mesi. Ritornato in Italia, insieme all’associazione culturale Affabulazione di Ostia si sta impegnando per far decollare un progetto di editoria sociale.

L'intervista

01. Roberto, se me lo permetti mi piacerebbe partire dal principio chiedendoti da subito qualche opinione a caldo. Cosa ti ha spinto ad intraprendere la ‘strada del romanziere’? Esordire in Italia come scrittore è stato difficile? Cosa consiglieresti a chi voglia cimentarsi nel tuo stesso mestiere? 

“La ‘strada del romanziere’ in genere te la porti dentro ed è legata al desiderio di ‘vedere’, essere cioè testimoni di un paesaggio naturale o urbano che sia, nelle sue luci, nelle sue ombre, nei volti della gente che li abita, nelle cose… e desiderare di narrare tutto questo. E’ un continuo osservare, interrogarsi, immaginare. Tante volte sugli autobus che attraversano il sud America mi sono soffermato sui particolari degli uomini e delle donne accanto a me, gli sguardi, i gesti, gli odori. Un padre che copre un bambino che dorme sul sedile. Una coppia che mangia i panini, chi ascolta la radio. E sempre mi spingeva il desiderio di capire chi fossero quegli uomini e quelle donne che sedevano al mio fianco, il loro parlare, la fatica, i bagagli, il cibo. Tutto intorno a noi sprigiona sensazioni, pensieri, emozioni, che come scrittore hai voglia di non perdere, di comunicare agli altri. Per quanto riguarda l’esordio, sì, è difficile! E’ difficile trovare la casa editrice disposta a scommettere su uno sconosciuto. È difficile farsi strada. Ci vogliono costanza, faccia tosta, presenza e soldi per l’autopromozione, per gli spostamenti, i volantini, le locandine, le notti nelle pensioni, la benzina. Insomma cuore, pensiero e passione spesso non bastano”.

02. Per la scrittura sei arrivato ad abbandonare definitivamente il tanto agognato ‘posto fisso’, ovvero un lavoro in banca. Come hai vissuto questo cambiamento? Se posso chiedertelo, è stata una scelta che ha saputo ripagarti, o hai qualche rimpianto in merito alla tua decisione? Al momento ti dedichi alla scrittura 24 ore su 24? Come organizzi le tue giornate sul versante professionale, e come promuovi il tuo lavoro?

“In molti hanno cercato di convincermi a ‘non fare questa pazzia’, a non lasciare. In effetti, visto dal di fuori, il posto in banca è una fortuna: molti soldi a fine mese, un lavoro dietro una scrivania che ti dona l’immagine positiva di uomo vincente. In realtà, le situazioni bisogna viverle, e per anni mi sono chiesto se era quella la vita che volevo fare, se, potendo tornare indietro, avrei rifatto le stesse scelte. Scrivere mi dona qualità alla vita, non ha prezzo. Avere i soldi e non avere il tempo per le proprie aspirazioni lo trovo inumano. Viviamo in un mondo che ci costringe a comprare sempre di più e senza raggiungere una soddisfazione: abbiamo televisori grandi come pareti e non abbiamo un’adeguata informazione, siamo costretti in scatole di latta sopra quattro ruote e non abbiamo piste ciclabili. Immagino sempre un mondo in cui tutti insieme decidano lo stesso giorno di rassegnare le dimissioni, e il giorno dopo si riparte, ognuno con le proprie aspirazioni alla ricerca del lavoro sognato. Decisamente, non ho alcun rimpianto. Per quanto riguarda le mie giornate, scrivo fino a notte fonda, mi alzo tardi, bevo fino a dieci caffè al giorno, leggo giornali, libri, riviste, mantengo contatti e scambio opinioni. È chiaro che al centro della mia vita ho messo la scrittura, perché è la mia vita. Ma questo mestiere è anche fatto di incontri, idee e proposte, che contribuiscono alla nascita di nuove idee o alla promozione del mio lavoro. Mi dedico quindi alle mille sollecitazioni che arrivano sia dal mondo virtuale che da quello fisico, che possono essere un convegno storico, uno spettacolo sulla Libia, una risposta su un blog di un collega o l’incontro con amici che lavorano nel campo editoriale”.

03. Uno scrittore attinge materiale per le sue opere soprattutto a partire dalle esperienze che fa nel corso della sua vita. So che hai viaggiato parecchio, visitando - e vivendo - molti luoghi, in particolare in sud America. Puoi raccontarci queste esperienze di viaggio? Ci sono degli episodi, delle persone o semplicemente dei ricordi che ti sono rimasti particolarmente impressi e hai voglia di condividere con noi? Cosa ti ha spinto a far ritorno in Italia una volta vissuto per mesi un continente così diverso come il sud America?

“Bella quest’ultima domanda… No guarda, l’Italia è casa mia, dove torno sempre e sempre contento di tornare. Il rientro è una sensazione bellissima al pari della partenza, è la rassicurante garanzia di ritrovare le cose che ti appartengono, e soprattutto le persone che senti tue. Se partire significa scoperta, rientrare significa radici. Ho viaggiato tanto, che per me significa soprattutto andare alla scoperta delle persone, non dei luoghi. Certo, un luogo può lasciarti a bocca aperta, come sanno fare gli scenari della Patagonia, o la Bolivia, che considero il paese più bello cha abbia mai visitato. Ma i luoghi non sarebbero quello che sono se non ci fossero le persone. Sono loro che cambiano il nostro modo di vivere un luogo, e non bastano certo quindici giorni o un mese per poter dire di conoscere un popolo. Il mio è forse un modo provocatorio di immaginare il turismo. Ma quante persone, per fare un esempio, sanno che sulle Ande si parla chechua? Il turista parla castigliano – ovvero lo spagnolo – e gli andini rispondono nella stessa lingua, ma fra di loro continuano a parlare chechua, la lingua preispanica che lega tutta la zona andina come fosse una sola nazione. È un concetto e una realtà secondo me bellissimi, perché nonostante siano stati inventati i confini di stato, questa è la dimostrazione che la lingua e le usanze non conoscono frontiere e che lassù, tra il Cile e la Colombia, ogni cosa ha resistito nonostante la violenza della ‘Conquista’. Lo stesso avviene in Amazzonia, dove quello che è stato diviso per decreto continua a sopravvivere negli uomini che vivono quei luoghi. Quando torno a casa, sono loro che cerco di mettere su carta: i visi, gli sguardi, le parole, la vita - spesso dura - che sono il ricordo delle persone incontrate in viaggio. I miei libri sono sopra ogni altra cosa pieni di ricordi, pieni di persone che ho conosciuto e che mi hanno colpito per il loro modo di essere”.

04. Parliamo dei tuoi libri allora, da quelli d’esordio all’ultimo pubblicato, ‘Tabacco’, venuto alla luce nel 2011 grazie alla collaborazione con la casa editrice genovese Chinaski. Sono tutti ambientati in zone ‘calde’ del pianeta, dal deserto della Giordania di ‘Valle di Luna’ (2001, ed. Serarcangeli), al continente latino americano di ‘Stella del Sud’ (2003, ed. Affabulazione), all’Amazzonia di ‘Viva Miguel’ (2006, ed. Affabulazione), fino alla Libia di ‘Nera delle Dune’ (2008, ed. Affabulazione). Sarebbe giusto affermare che l’esotismo è il filo conduttore di tutti i tuoi romanzi? In che modo intendi mostrare ai tuoi lettori questi mondi così diversi da noi e spesso, proprio per la loro diversità, così temuti? Che messaggio vorresti rimanesse ad un italiano medio che legga uno dei tuoi romanzi?

“Il messaggio è uno solo, ovvero che è possibile convivere in ogni posto del mondo in modo sereno. Ancora ricordo l’espressione dei miei colleghi quando ho detto loro che partivo per lo Yemen. Era il 2004, ancora non si parlava di zona di guerra. Il commento più delicato è stato ‘riporta a casa la testa’. Per non parlare dei due mesi passati in Colombia, a Cartagena, dove sono stato in una scuola per bambini di strada come volontario in una Onlus. In molti mi hanno preso per matto. Ricordo che per entrare nella favela c’era bisogno della parola d’ordine. La struttura - Casa Italia Boca Azul - è stata messa in piedi da un generale italiano dell’aeronautica in pensione, Giuseppe Mazzoni., e da sua moglie Rosi. Il lasciapassare era l’espressione ‘vado da Pino’, ed ecco che tutti i sospetti si tramutavano in sorrisi. Questo per dire che, in realtà, molte idee dell’uomo occidentale sono dettate dall’impatto che hanno le notizie trasmesse dalla televisione, dagli stereotipi: Yemen uguale terroristi, Colombia uguale narcos, Italia uguale mafia, Cile uguale dittatura. Ma è davvero possibile credere che sia tutto qui, che tutti gli italiani sono mafiosi, o tutti i colombiani narcotrafficanti? Dove trovano spazio allora Falcone e Borsellino, Marquez, Allende? Il messaggio che vorrei trasmettere è comune a tutti i miei libri. Il cambiamento. Questo fanno i miei personaggi. Cambiano il loro punto di vista. E questo cambiamento non è mai sinonimo di debolezza, è scelta consapevole. Questo vorrei che arrivasse a chi sceglie di leggere le mie avventure”.

05. ‘Tabacco’, l’ultima tua fatica letteraria, è il primo volume di un ‘ciclo sudamericano’. Scrivere un libro che dovrà far parte di un disegno più ampio diversifica il lavoro di uno scrittore? Presuppone, ad esempio, che la storia che intendi raccontare sia già tutta nella tua mente, oppure richiede una creatività ancora maggiore, e la predisposizione da parte tua a rimettere tutto in discussione a mano a mano che procedi nella scrittura del seguito? Proprio in merito al progetto di un ‘ciclo sudamericano’, puoi anticiparci qualcosa su quello che realizzerai in futuro?

“E’ chiaro che il progetto è ben definito nella mia mente, non a caso ho scritto il primo volume, ‘Tabacco’, e l’ultimo, che si svolge negli ultimi giorni del regime di Batista, è già pronto e si intitola ‘Il vento prima del vento’. In realtà era proprio dal quarto e ultimo volume che pensavo di partire per poi creare dei flash-back e ricreare la storia della famiglia Gutierrez. Il ciclo è ambientato a Cuba e copre un secolo di storia dell’isola. In particolare, si concentra sui fermenti rivoluzionari che hanno attraversato l’isola dal 1835 alla rivoluzione del ’59, passando per le violenze del 1868 e del 1935. Ogni libro è legato a un evento che ha coinvolto l’isola e ad un personaggio di una famiglia latifondista. Dopo ‘Tabacco’ sarà la volta di ‘Luna Nuova’, che è in fase di correzione, e infine mi dedicherò al terzo”.

06. So che ti batti da anni per realizzare un progetto di editoria sociale. Puoi spiegarci in cosa consiste nello specifico e che vantaggi avrebbe rispetto al modo attuale di fare editoria? Secondo te l’editoria italiana, a confronto con quella estera, deve e può crescere? Internet e la Rete sono uno strumento utile per agevolarne lo sviluppo?

“L’editoria sociale voleva essere un progetto per aggirare il ricatto di molte case editrici che chiedevano - e continuano a chiedere - soldi per la pubblicazione. E’ uno scandalo. Così con l’associazione culturale di OstiaAffabulazione abbiamo deciso di dare ospitalità a tutti gli autori disposti a non spendere soldi per pochi volumi e zero distribuzione. Con la nascita degli e-book le cose dovranno per forza cambiare, basta pensare che in America il self-publishing sta già superando la prova del mercato. Cambierà il ruolo dell’editore, e soprattutto del distributore al quale sono affidati i destini del libro. E necessariamente cambierà il ruolo dell’autore, che dovrà essere sempre più manager di se stesso”.

07. Arriviamo a parlare del litorale romano. Puoi raccontarci il tuo rapporto con Ostia e con l’associazione Affabulazione? Come trovi la realtà culturale del territorio del XIII Municipio di Roma? A tuo parere, cosa c’è da fare ancora per darle maggior linfa vitale?

“Domanda difficile! Ultimamente sono stato al Festival della Filosofia di Modena, e sono rimasto sorpreso dalla partecipazione dei cittadini. Anche nel XIII i cittadini partecipano, basta guardare quello che succede nelle sere d’estate. Credo però che sia carente l’offerta di qualità, e non per mancanza di associazioni culturali o di idee. Ho paura che si cerchi di meravigliare il popolo con nomi famosi - che chiedono molti soldi per una serata - e poi si tralascino le intelligenze creative del territorio che rischiano di rimanere soffocate dalla mancanza di attenzione. Andrebbero finanziati progetti duraturi nel tempo. Andrebbe premiata la capacità di mettere radici nel territorio, di creare lavoro con un marchio che resti nel tempo. Per quanto riguarda Affabulazione, mi capita spesso di girare per Roma e dire che ne faccio parte, ti assicuro che è un vero e proprio biglietto da visita, per di più molto conosciuto”.

08. Ostia, tra i suoi punti a favore, ha il mare. So che un paragone con i paesaggi marittimi che hai visto con i tuoi occhi quando eri in viaggio - penso a Cuba ad esempio - sarebbe una partita persa in partenza per la cittadina lidense, ma la presenza del mare a pochi chilometri da casa, per te che ami i viaggi e per la tua attività di scrittore, ha una sua incidenza in termini di ispirazione letteraria?

“Quando si parla di mare ci immaginiamo sempre palme e spiagge bianche, ma posso garantirti che considero Capocotta una delle spiagge più belle del mondo. Sono stato in molti posti come Miami, Santa Monica, Rio, Cuba, eppure la mente torna sempre a Capocotta, alle sue dune e alla sua vegetazione. Campanilista? No, non credo. Il problema è che noi italiani amiamo ciò che è lontano e trascuriamo quello che abbiamo. Ricordo ancora il mio arrivo a Rio de Janeiro, era una domenica pomeriggio e dal bus tutti i carioca andavano verso la spiaggia con le seggiole per assistere alle partite di calcio che iniziavano proprio lì, con tanto di arbitri federali! Ecco cosa hanno gli altri popoli, il mare e la spiaggia se le vivono tutto l’anno, non solo d’estate. Capocotta non ha niente da invidiare alle spiagge più rinomate del mondo. A Rio l’acqua è fredda e sporca, e la corrente è fortissima, eppure il suo lungomare è tra i più famosi. I chioschi organizzano musica dal vivo, tornei sportivi, tutta la notte si balla e si beve. È un modo diverso di concepire la spiaggia. Noi guardiamo quelle spiagge e sogniamo, mentre qui a Ostia, in certe zone, la spiaggia non si vede più…”. 

09. Come ultima domanda, permettimi di soddisfare una curiosità. Quali sono, se ce ne sono di specifici, i tuoi modelli letterari di riferimento? Che libri stai leggendo in questo periodo? E, soprattutto, hai già tra le tue carte un romanzo pronto per essere scritto?

“Per ora sto cercando qualche idea per il terzo romanzo della saga dei Gutierrez, e sto cercando un paio di attori e un regista disposti a sposare il mio progetto di veder rappresentata in teatro ‘Nera delle dune’. Per quanto riguarda i modelli, seguo prevalentemente la narrativa del continente latino-americano, e un paio di autori che mi fanno impazzire spiccano su tutti: Eduardo Galeano e Josè Saramago, che leggo (e rileggo) perché lo considero un maestro, le sue intuizioni letterari sono geniali. Quando non scrivo mi capita di leggere un po’ tutto, anche le etichette dei detersivi, ma questa è un’altra storia…”. (articolo a cura di Simona Di Michele da "Talento nella Storia" (LINK)

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