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sabato 1 dicembre 2012

Cavallucci (Perù) - (Storie di Uomini Calamita)


Il Pacifico la mattina appare tranquillo.
Almeno quassù, a cento chilometri del cerchio che spacca in due il mondo. È calda l’acqua e il vento ancora riposa lontano, lasciandomi godere di quest’aria che presto diventerà bollente.
Alle nove passeggio sulla spiaggia ancora deserta. I turisti, quelli dell’ultima birra alle tre di mattina, ancora dormono. I surfisti, quelli della spiaggia è solo mia, aspettano il vento che gonfia le onde e i gestori dei locali sono ancora avvolti nei sogni di ricchezza che queste onde portano. Solo per loro, senza divisione e condivisione della ricchezza. In fondo, anche se per pochi chilometri, siamo sotto l’equatore e parole del genere non funzionano più nemmeno a nord.
Sulla spiaggia sofferenti e moribondi gli ippocampi vivono gli ultimi istanti della loro vita. Grandi come un palmo di una mano, con le loro criniere arricciate, gli occhi socchiusi e la coda ripiegata, stanno lì, buttati sul bagnasciuga in attesa della fine. Un’onda gli restituisce un filo di ossigeno e poi la fine.
Si avvicina un uomo con un cappello e una borsa. Li raccoglie e li nasconde.
Sono morti – mi dice.
Ancora no – faccio io.
Non sopravvivono. Quando arrivano a riva sono già agonizzanti e niente li salva.
Lo ritroverò più tardi con i cavallucci appesi a un filo in vendita come souvenir per pochi centesimi.

L’altra mattina sono sceso prima. Alle sette. Solo io, il rumore della risacca, l’aria fresca, gli uccelli in cerca di cibo e i cavallucci sofferenti.
All’orizzonte una figura minuta che avanza. Completamente coperta, un secchio in un braccio. Cammina pochi metri, si china, raccoglie qualcosa e lo mette nel secchio.
E’ lontana ma nel breve tempo di dieci minuti siamo uno accanto all’altra.
Che fai – chiedo
Raccolgo i caballitos de mare.
Ma sono morti – dico io.
Non ancora. Hanno bisogno di respirare. Li metto nel secchio e li tengo una mezz’ora. Le onde li sbattono sulla spiaggia e non riescono a riprendere il largo. La mancanza d’acqua li soffoca pian piano. Poi arrivano gli uomini che li finiscono.
E tu che fai? Le chiedo.Aspetto che riprendano le forze. Quando si muovono nel secchio sono pronti a ripartire. Li porto a una decina di metri dalla spiaggia dove la corrente li riporta al largo e li lascio.
Non bisogna ucciderli. Sono i messaggeri del mare. Hanno molte cose da raccontare. Portano le notizie da una parte all’altra dell’oceano. Basta solo saperli ascoltare.

In questo mondo dove ogni cosa ha un’etichetta e un nome, dove ogni cosa è classificata e schedata, non so come poter chiamare il lavoro di questa ragazza.
Non ne conosco neanche il nome, ma so che c’è.
E questo basta.
Per i cavallucci e per chi pensa che una vita migliore passi per un secchio con l’acqua di mare dentro.
Riprende il suo lavoro.
Prima che passino gli uomini con la sacca – mi dice.
La saluto.
Oggi è una bella giornata.


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