Il Pacifico la mattina appare tranquillo.
Almeno quassù, a cento chilometri del cerchio che spacca in
due il mondo. È calda l’acqua e il vento ancora riposa lontano, lasciandomi
godere di quest’aria che presto diventerà bollente.
Alle nove passeggio sulla spiaggia ancora deserta. I
turisti, quelli dell’ultima birra alle tre di mattina, ancora dormono. I
surfisti, quelli della spiaggia è solo mia, aspettano il vento che gonfia le
onde e i gestori dei locali sono ancora avvolti nei sogni di ricchezza che
queste onde portano. Solo per loro, senza divisione e condivisione della
ricchezza. In fondo, anche se per pochi chilometri, siamo sotto l’equatore e
parole del genere non funzionano più nemmeno a nord.
Sulla spiaggia sofferenti e moribondi gli ippocampi vivono
gli ultimi istanti della loro vita. Grandi come un palmo di una mano, con le
loro criniere arricciate, gli occhi socchiusi e la coda ripiegata, stanno lì,
buttati sul bagnasciuga in attesa della fine. Un’onda gli restituisce un filo
di ossigeno e poi la fine.
Si avvicina un uomo con un cappello e una borsa. Li
raccoglie e li nasconde.
Sono morti – mi dice.
Ancora no – faccio io.
Non sopravvivono. Quando arrivano a riva sono già
agonizzanti e niente li salva.
Lo ritroverò più tardi con i cavallucci appesi a un filo in
vendita come souvenir per pochi centesimi.
L’altra mattina sono sceso prima. Alle sette. Solo io, il
rumore della risacca, l’aria fresca, gli uccelli in cerca di cibo e i
cavallucci sofferenti.
All’orizzonte una figura minuta che avanza. Completamente
coperta, un secchio in un braccio. Cammina pochi metri, si china, raccoglie
qualcosa e lo mette nel secchio.
E’ lontana ma nel breve tempo di dieci minuti siamo uno
accanto all’altra.
Che fai – chiedo
Raccolgo i caballitos de mare.
Ma sono morti – dico io.
Non ancora. Hanno bisogno di respirare. Li metto nel secchio
e li tengo una mezz’ora. Le onde li sbattono sulla spiaggia e non riescono a
riprendere il largo. La mancanza d’acqua li soffoca pian piano. Poi arrivano
gli uomini che li finiscono.
E tu che fai? Le chiedo.Aspetto che riprendano le forze.
Quando si muovono nel secchio sono pronti a ripartire. Li porto a una decina di
metri dalla spiaggia dove la corrente li riporta al largo e li lascio.
Non bisogna ucciderli. Sono i messaggeri del mare. Hanno
molte cose da raccontare. Portano le notizie da una parte all’altra
dell’oceano. Basta solo saperli ascoltare.
In questo mondo dove ogni cosa ha un’etichetta e un nome,
dove ogni cosa è classificata e schedata, non so come poter chiamare il lavoro
di questa ragazza.
Non ne conosco neanche il nome, ma so che c’è.
E questo basta.
Per i cavallucci e per chi pensa che una vita migliore passi
per un secchio con l’acqua di mare dentro.
Riprende il suo lavoro.
Prima che passino gli uomini con la sacca – mi dice.
La saluto.
Oggi è una bella giornata.
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