«Ciò che rende bello il deserto, disse il piccolo
principe,
è che da qualche parte nasconde un pozzo». (Antoine de Saint-Exupéry, “Il piccolo principe”) |
Foto PdJ |
Antofagasta. Cile del Nord. Alla fine nel deserto di
Atacama sono spuntate le rose. Fiori e prati della cultura dunque invece che
sabbia e rocce. A settecento chilometri dalla capitale cilena, dove, insieme ai
numerosi autori cileni e latinoamericani si è cercato di approfondire un’idea
di cultura. E’ stata, per me, l’occasione per raccontare di un’ Italia che esce
“dal ventennio” in cui è stato (ed è ancora) possibile comprare ogni cosa.
Dalle baby prostitute ai rappresentanti del popolo eletti in parlamento. Tutto
si può comprare meno che la cultura. Cosa astratta eppure così preziosa che ha
de sempre distinto il nostro paese. E’ stata l’occasione per raccontare e farsi
raccontare quali sono le strade della narrazione da persone come Gioconda
Belli, Leonardo Padura e Antonio Skàrmeta famosi anche qui in Italia o da altri
invitati come Zurita, il poeta della memoria, un gigante nel suo paese o Hernan
Letelier, minatore dalla minore età, scrittore della fatica. E’ stata
un’opportunità irripetibile. Conoscere i passaggi, mentali e non, che hanno
percorso i “colleghi” latinoamericani, le tappe della loro evoluzione culturale
e politica. Per due settimane Gli incontri si sono susseguiti seguendo i
percorsi delle storie, come l’acqua che sgorga in superficie dal fondo del
pozzo che dà speranze al viaggiatore assetato, lasciando crescere il verde
delle idee che ha sostituito l’aridità delle sabbie. Ora, dopo aver aver
oltrepassato questa spaventosa ed esaltante infinità del deserto dell’Atacama,
non rimane che tornare al lavoro, certo di avvistare quanto prima l’oasi.
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