Novembre 2005
Paracas la riconosci subito.
A distanza di chilometri il fetore delle fabbriche di
sardine è inconfondibile.
Tutto gira intorno a quel sapore di sale e di putrido di un
mare pescoso.
Tutti attingono da questa risorsa, che sembra non avere
fine. I pellicani e i pescatori, le famiglie e gli azionisti delle fabbriche …
e il vento, che gioca a trasportare il puzzo a chilometri di distanza.
Poi si placa. E solo allora Paracas diventa un molo. Turisti che vanno alle
isole, barche tirate a secco, foto che reclamizzano i leoni marini e i
pinguini. Tra tutti il più famoso è certamente Pancho. Ormai è l’attrazione
della piccola cittadina. L’avvenente proprietaria apre la porta in lamiera del
riparo e Pancho ci viene incontro con la sua andatura goffa. Sembra dover
cadere da un momento all’altro, ora a destra, ora a sinistra. Poi inizia a
starnazzare. Un lamento acuto e penetrante di insoddisfazione.
“L’ha scambiata per mio marito … è rimasto deluso e allora
grida il suo disappunto”.
“Suo marito? Distingue le persone? – chiedo.
“Certo. Mio marito esce con la barca a pesca tutte le
mattine. Arrivano insieme alla spiaggia. Pancho si butta in acqua e nuota
finché la barca non prende il largo. Poi torna a casa e aspetta”.
“Cosa?”
“Che mio marito rientri. Ogni tanto si bagna nella sua
vasca. A volte, quando fa troppo caldo scende in spiaggia. Quando mio marito
rientra gli porta un pesce e Pancho felice grida la sua gioia”.
Aspetta.
Tutto. il giorno.
Fedele, come solo gli animali sanno essere.
Più degli umani.
Più degli umani.

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