È una ferita d’azzurro che divide l’America – mi dice
togliendo il freno a mano.
Omero è un nero immenso che guida uno dei tanti autobus variopinti
e scalcinati della city più famosa del centro america.
Faccio questa strada dodici volte al giorno – mi dice.
Colon, Panama City, Colon e quando passo davanti alle chiuse mi emoziono. È un
capolavoro di ingegneria e danno da vivere a molta gente. Ma tu che fai qui? I
turisti prendono l’altra linea, quella con l’aria condizionata.
Voglio vedere come vive la gente – dico – e non come
viaggiano i turisti.
Ride e gira il volante.
Il sedile sembra scoppiare sotto il suo peso e i pedali
faticano, schiacciati dai suoi piedi.
Porta una maglietta gialla senza maniche e sembra non
soffrire il caldo umido.
Guarda bene allora – mi dice. Il canale divide in due il
territorio e i popoli. I ricchi a nord e gli sfruttati a sud. Macchine moderne
e vecchi cassettoni degli anni cinquanta.
Questi bus ce li ha venduti il governo canadese. Hanno
lavorato trent’anni lassù tra orsi e salmoni. Ora sono qui a soffrire il caldo.
Ma se vai la sera sul boulevard Balboa… vedrai che sfilata
di jeep e Mercedes! Sono quelli che dirigono questo pezzo di mondo.
Collezionano parole difficili, hanno bambole per ogni
occasione e i dopobarba per sudare profumato. Sono sempre tranquilli e
soddisfatti con i corvi neri e le loro pistole che svolazzano intorno, la neve
d’estate per stare svegli e le certezze di chi può parlare senza dire niente.
Questa è la city.. se cammini oltre ti accorgi che esiste un’altra Panama. Fai
cinquecento metri e sei nella miseria.
C’è un quartiere chiamato Miguelito. È famoso qui a Panama.
C’era un solo semaforo e lo hanno tolto. Ogni volta che scattava il rosso c’era
uno che ti rapinava. Per la rapina si faceva la fila e i turni venivano
stabiliti di comune accordo. La polizia si girava dalla parte opposta e alla
fine neanche le ambulanze erano più al sicuro. Questa è la city che nessuno ti
racconta. Ci devi vivere per scoprirla. È quella nera, dei ghetti, della
servitù, la Panama di chi non dorme per necessità, per la paura, per una figlia
che non torna, per le fogne a cielo aperto che puzzano, per il lavoro faticoso
che non ti fa vivere, per l’aria di povero che ci portiamo addosso…come in
questo autobus.
Sorrido e penso che ha ragione. L’aria sa di sudore e di
cibo fritto.
Perché mangiano durante il tragitto? – gli faccio io.
Per guadagnare tempo. Perché escono da un lavoro per farne
un altro e il tempo è denaro. Non si dice così anche dalle tue parti?
Sì, anche a noi europei ci hanno convinto di questa cosa ma
credo che il tempo vada goduto e non monetizzato.
Hai ragione italiano, ma qui solo i barboni se lo possono
permettere. Perché chi ha pochi soldi vive male e chi ne ha molti, ne vuole
sempre di più. Questa è Panama ragazzo mio. O da una parte o dall’altra.
L’acqua divide…in fondo il canale è stato fatto per questo.
Poi grida forte: Colon…capolinea…! Mi guarda e aggiunge:“Vado
a pisciare e poi riparto. Buon viaggio…”
Buena suerte – gli grido e scendo mischiandomi agli odori
dei tanti senza dopobarba, cocaina e guardaspalle.
Nessun commento:
Posta un commento