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| Il porto de l'Avana |
L’Avana - Ottobre 1868
La
zona del porto fino al quartiere di Atares non aveva niente d'invitante a prima
vista. Tranne per chi volesse ricercare svaghi, dare spazio ai vizi, spendere
per una notte la paga di una settimana, bere fino allo stordimento. E l’atmosfera
di colpo appariva diversa e anziché essere ostile, sembrava accogliente, quasi
fraterna. Il
porto era un vasto bacino dove ognuno faceva il suo lavoro, sotto la calura
asfissiante o nella luce nebbiosa dei lampioni. Facchini e marinai dalle
dimensioni di bestioni di tutti i colori e tutte le razze, angoli appartati
trasformati in pisciatoi all'aperto dall'aria fetida, pomodori rossi ammassati
vicino a cesti di crisantemi, ragazze che ciondolavano e al loro fianco bambine
che assomigliano alle loro madri, frutta fresca, mucchi di cassette sul
selciato umido, uomini d’affari che gustavano riso e fagioli neri, l’odore
delle zuppe di cipolle o del pesce in umido, i bicchierini di rum, sigari
offerti a prezzi stracciati, macellai dalla voce possente, con i camici lisi
macchiati di sangue che si accanivano sui grandi capi appesi ai ganci, con gli
occhi sbarrati e la lingua immobile fra i denti. Il porto, il suo odore, quello
della città, dei Caraibi, ricordava quello di una gigantesca orgia, mischiato
con l'odore delle primizie e con quello delle barche appena rientrate con il
pesce ancora vivo e della carne invecchiata troppo presto per il caldo afoso,
del vino, del sudore. Il porto, inondato della luce dell’aurora, aveva infine
assunto un colore amico, blu come il mare profondo.
“Chi
beve qui non affoga mai”
recitava
una scritta all'entrata del bordello dal nome per niente originale... Muňecas, Bambole...
“Chi
beve qui non affoga mai”

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