La notte del 15 ottobre, alle tre e mezzo, l'avanguardia della colonna del Che incontra quattro uomini.
Il dialogo resterà scolpito nella memoria dei testimoni: «Alt! Chi va là?».
«Brave persone e contadini.»
«Contadini no, perché siete armati. Sarete guardie. »
«No, guardie no, siamo gente dell'Escambray, del
Direttorio l3 Marzo.»
«Venite avanti. Noi siamo gente del Che.»
A partire da quel momento nasce la leggenda. In tutta
Cuba si sa che il comandante Guevara è arrivato nella provincia di Las Villas,
ha rotto l'accerchiamento. Radio Rebelde si incarica di diffondere la notizia. Fernandez Mell fornirà il riassunto migliore e più
equilibrato: «Avevamo camminato per cinquecentocinquantaquattro chilometri, in
linea retta stando alla mappa; in pratica furono di più l ... l. Durante quel tempo,
quarantasette giorni, avevamo mangiato più o meno quindici o venti volte, oltre ad aver attraversato
due cicloni». La mitologia dell'invasione, trattata in modo erroneo da
alcuni cronisti, non starà in quel paio di combattimenti di poca importanza che
il Che affronta nella Federal e a Cuatro Companeros o nelle imprese militari
minori, ma nella terribile marcia di quarantasette giorni in condizioni disumane; nella tenacia
e nella cautela del Che nello sfuggire ad accerchiamenti e imboscate, tanto
estranea al suo carattere di combattente; nella sua brillante capacità di
eludere
lo scontro. Il viaggio acquista significato nella sua destinazione. Adesso la rivoluzione
potrà tagliare l'isola in due.
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