
Alle quattro e mezzo del mattino cominciarono gli spari. Le truppe di
Vietor Bordòn entrarono da un capo del paese, quelle del Direttorio, comandate
da Rolando Cubela, dall'altro. Il plotone suicida attaccò il nemico nel cinema,
Abrantes attaccò il municipio e il plotone di Alfonso Zayas il posto di
polizia. Il tenente Hugo del Rio racconta: «Bisognava vedere come ci aiutava la
popolazione nei posti dove combattevamo. In molte occasioni c'era così tanta
gente che scendeva nelle strade che risultava persino pericoloso, perché molti
potevano restare vittime della mitraglia nemica».
Il Che arrivò a Placetas verso le sei e mezzo del mattino, su una jeep
guidata da Alberto Castellanos; in quel momento il capitano Paez prendeva il
cinema, e il plotone del Vaquerito, dopo aver occupato senza sparare la
stazione radio, combatteva sulle alture.
A Placetas le forze di Zayas mantenevano la pressione sul posto di
polizia, e alle cinque del pomeriggio, sotto il fuoco di una mitragliatrice
calibro 30, di mortai e granate, i poliziotti chiesero una tregua per trattare
con il Che. Mezz'ora dopo si arrendevano. Il fuoco dei ribelli si concentrò
allora sulla caserma, dove si trovavano centoquattro soldati. Il plotone del
Vaquerito attaccò dalla parte posteriore e le truppe di Bordon da quella
anteriore. Il Che era in prima linea. Calixto Morales ricorda: «Mi sembra
ancora di vederlo, a Placetas. I cecchini che sparavano e lui in mezzo alla
strada come se niente fosse».
In questa città i rivoluzionari ebbero un aiuto sorprendente: il tenente
Pérez Valencia della guarnigione di Fomento che, rimasto per qualche giorno
nell'accampamento di Manacas, era stato conquistato alla causa del Movimento.
Racconta: «Chiesi al Che di mettermi un bracciale del 26 Luglio, e mentre mi
accontentava mi disse in un sussurro: "lo non le prometto niente".
Gli risposi che io non chiedevo altro che mi lasciassero combattere». Pérez
Valencia, attraverso l'altoparlante, fece pressione sui difensori perché si
arrendessero: «Che non si sparga del sangue, io sono Valencia e sono qui agli
ordini del Che, e ho persino la mia arma. L'Esercito ribelle non è quello che
credete voi». Il capitano cedette. Il Che entrò allora a trattare con gli
ufficiali: usò un tono molto educato, parlava a bassa voce, secondo uno dei
testimoni, ma il comandante degli assediati, il tenente Hernandez Rivero,
diventò arrogante e cominciò a dire che lui era un ufficiale d'accademia e che
avrebbe difeso la caserma fino alla morte. Il Che non riuscì a trattenere una
risata. Allora i soldati presero l'iniziativa e, scavalcando il loro
comandante, cominciarono ad arrendersi. Quando si seppe della resa dei soldati
il popolo si riversò per le strade, gridando e suonando tutte le campane delle
chiese. Si arresero più di centocinquanta uomini e furono presi
centocinquantanove fucili, sette mitragliatori, una mitragliatrice calibro 30,
un mortaio, granate e munizioni. Qualche ora dopo la caduta di Placetas il Che
arrivava con la sua jeep a Yaguajay, dove Camilo e la sua colonna stavano
stringendo d'assedio la caserma locale. La riunione si tenne nello
zuccherificio Narcisa, fra la curiosità dei contadini che si avvicinavano per
vederli insieme. Camilo, con il suo abituale sen- so dell'umorismo, commentò: «Lo so già che cosa farò quando vinceremo, ti metterò in una gabbia e
girerò il paese facendo pagare il biglietto per vederti. Diventerò ricco!»
(Tratto da: "SEnza perdere la tenerezza" di Paco Ignacio Taibo II)
(Tratto da: "SEnza perdere la tenerezza" di Paco Ignacio Taibo II)
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