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domenica 23 dicembre 2018

23 dicembre... gli uomini di Batista continuano ad arrendersi


All'alba del 23 dicembre i guerriglieri cominciano a infiltrarsi a Placetas, ancora con il rumore degli spari di Cabaiguàn nelle orecchie. La guarnigione, assolutamente demoralizzata, aveva chiesto l'evacuazione del posto, in cui si trovavano più di cento soldati «dal morale a terra e scoraggiati per dover lottare contro truppe ribelli in schiacciante maggioranza, con effettivi senza dubbio in rapporto di cinquanta a uno» diceva un rapporto dell'esercito, esagerando molto, perché il Che in quel momento contava su meno di duecento uomini per attaccare Placetas. In risposta al rapporto era stato ordinato il ripiega mento verso Santa Clara, ma era un ordine tardivo, perché Placetas era già accerchiata.
Alle quattro e mezzo del mattino cominciarono gli spari. Le truppe di Vietor Bordòn entrarono da un capo del paese, quelle del Direttorio, comandate da Rolando Cubela, dall'altro. Il plotone suicida attaccò il nemico nel cinema, Abrantes attaccò il municipio e il plotone di Alfonso Zayas il posto di polizia. Il tenente Hugo del Rio racconta: «Bisognava vedere come ci aiutava la popolazione nei posti dove combattevamo. In molte occasioni c'era così tanta gente che scendeva nelle strade che risultava persino pericoloso, perché molti potevano restare vittime della mitraglia nemica».
Il Che arrivò a Placetas verso le sei e mezzo del mattino, su una jeep guidata da Alberto Castellanos; in quel momento il capitano Paez prendeva il cinema, e il plotone del Vaquerito, dopo aver occupato senza sparare la stazione radio, combatteva sulle alture.
A Placetas le forze di Zayas mantenevano la pressione sul posto di polizia, e alle cinque del pomeriggio, sotto il fuoco di una mitragliatrice calibro 30, di mortai e granate, i poliziotti chiesero una tregua per trattare con il Che. Mezz'ora dopo si arrendevano. Il fuoco dei ribelli si concentrò allora sulla caserma, dove si trovavano centoquattro soldati. Il plotone del Vaquerito attaccò dalla parte posteriore e le truppe di Bordon da quella anteriore. Il Che era in prima linea. Calixto Morales ricorda: «Mi sembra ancora di vederlo, a Placetas. I cecchini che sparavano e lui in mezzo alla strada come se niente fosse». 
In questa città i rivoluzionari ebbero un aiuto sorprendente: il tenente Pérez Valencia della guarnigione di Fomento che, rimasto per qualche giorno nell'accampamento di Manacas, era stato conquistato alla causa del Movimento. Racconta: «Chiesi al Che di mettermi un bracciale del 26 Luglio, e mentre mi accontentava mi disse in un sussurro: "lo non le prometto niente". Gli risposi che io non chiedevo altro che mi lasciassero combattere». Pérez Valencia, attraverso l'altoparlante, fece pressione sui difensori perché si arrendessero: «Che non si sparga del sangue, io sono Valencia e sono qui agli ordini del Che, e ho persino la mia arma. L'Esercito ribelle non è quello che credete voi». Il capitano cedette. Il Che entrò allora a trattare con gli ufficiali: usò un tono molto educato, parlava a bassa voce, secondo uno dei testimoni, ma il comandante degli assediati, il tenente Hernandez Rivero, diventò arrogante e cominciò a dire che lui era un ufficiale d'accademia e che avrebbe difeso la caserma fino alla morte. Il Che non riuscì a trattenere una risata. Allora i soldati presero l'iniziativa e, scavalcando il loro comandante, cominciarono ad arrendersi. Quando si seppe della resa dei soldati il popolo si riversò per le strade, gridando e suonando tutte le campane delle chiese. Si arresero più di centocinquanta uomini e furono presi centocinquantanove fucili, sette mitragliatori, una mitragliatrice calibro 30, un mortaio, granate e munizioni. Qualche ora dopo la caduta di Placetas il Che arrivava con la sua jeep a Yaguajay, dove Camilo e la sua colonna stavano stringendo d'assedio la caserma locale. La riunione si tenne nello zuccherificio Narcisa, fra la curiosità dei contadini che si avvicinavano per vederli insieme. Camilo, con il suo abituale sen- so dell'umorismo, commentò: «Lo so già che cosa farò quando vinceremo, ti metterò in una gabbia e girerò il paese facendo pagare il biglietto per vederti. Diventerò ricco!»
(Tratto da: "SEnza perdere la tenerezza" di Paco Ignacio Taibo II)


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