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domenica 30 dicembre 2018

30 dicembre 1958: Santa Clara è nelle mani della rivoluzione.

Il mattino del 30 dicembre, Radio Rebelde smentì la notizia diffusa dai canali internazionali secondo cui il Che era morto: «Per la tranquillità dei familiari in Sudamerica e della popolazione cubana, assicuriamo che Ernesto Che Guevara non solo è vivo e si trova in prima linea, ma oltre ad aver preso il treno blindato di cui abbiamo parlato qualche istante fa, entro pochissimo tempo prenderà la città di Santa Clara, già sotto assedio da giorni». L'armamento del treno era servito per mobilitare il resto della riserva delle basi di Caballete de Casa, EI Pedrero, Gavilanes e Manacas e portarlo nella zona di combattimento. Con queste nuove forze, e approfittando della spinta del giorno precedente, i plotoni ribelli, pienamente appoggiati dalla popolazione, ottengono nuove vittorie. Verso mezzogiorno i combattenti che assediano la caserma dello squadrone 31, che hanno ricevuto una mitragliatrice dal bottino del treno, respingono un contrattacco dell'esercito. L'aviazione aveva iniziato a battere le posizioni ribelli con meno successo del giorno prima. Il 30 dicembre le forze aeree fecero trenta incursioni sulla città. Poco dopo il bombardamento, la caserma di Los Caballitos cade nelle mani dei ribelli. Alcuni soldati tentano una disperata sortita cercando di raggiungere lo squadrone 31, ma restano intrappolati tra il fuoco dei ribelli e quello degli assediati. Molti di loro vengono feriti o uccisi, e i restanti sono fatti prigionieri dalla colonna del Direttorio. Di tutti gli scontri di quel giorno, il più violento avviene intorno alla stazione di polizia, dove si difendono circa quattrocento fra poliziotti e soldati, appoggiati da carri armati leggeri e comandati dal colonnello Cornelio Rojas, che ha ben più di un motivo per non arrendersi a causa delle sue recenti attività di torturatore e assassino di civili. Contro la stazione opera il plotone suicida del Vaquerito. I ribelli hanno grosse difficoltà ad avvicinarsi. Le squadre di Tamayo, Hugo del Rio, Emérido Merijio e Alberto Castellanos, che con una parte del plotone al comando del Che che li appoggia non contano più di settanta UOmInI e che nelle viuzze anguste non riescono a muoversi agevolmente hanno già avuto diversi feriti. Come se non bastasse, la stazione di polizia, situata dì fronte al parco del Carmen, si trova a soli cinquecento metri dalla caserma Leoncio Vidal e in qualunque momento può esserci un contrattacco. Emérido, che al comando della sua squadra è andato avvicinandosi alla stazione, combattendo casa per casa e tirando fuori da ognuna le guardie a colpi di nutra, al quale Inoltre hanno appena ridotto il cappello a un colabrodo, riceve dal Vaquerito l'ordine di cercare una posizione migliore per attaccare utilizzando una nuova tattica: bisogna avanzare all'interno delle case. La squadra di Emerido comincia a sfondare pareti procedendo casa per casa fino alla chiesa che sta di fronte alla stazione di polizia. Gli abitanti collaborano con loro. I rioni del quartiere sono attraversati da una serie di vialetti, invisibili da fuori. Si avanza anche sui tetti. Il Vaquerito rischia troppo. I suoi compagni lo rimproverano. Il Vaquerito risponde come fa sempre: «La pallottola che ti uccide non si sente mai». Prende posizione su un tetto di calle Garofalo a una cinquantina di metri dalla stazione di polizia, insieme a Orlando Beltran e Leonardo Tamayo, che è tornato a combattere dopo essere guarito dalle ferite nell'ospedale di Cabalguin. Orlando racconta: «Senza pensarci saltammo giù, appena vedemmo un gruppo di sei guardie che correva attraverso il parco. Li attaccammo, ma due carri armati che si trovavano lì vicino, lungo la strada, cominciarono a spararci con una 3D». Tamayo prosegue: «Gli gridai: "Vaquerito buttati a terra che ti ammazzano!". Non lo fece. Poco dopo gli urlai dalla mia posizione: “Ehi, che ti succede che non spari?". Non rispose. Guardai e lo vidi pieno di sangue. Lo raccogliemmo subito e lo portammo dal medico. Il colpo era mortale. Un colpo di M-l in testa». Nemmeno cinque minuti dopo arrivò il Che. Eravamo nella sala operatoria e, senza che lui mi chiedesse niente, gli dissero: Comandante, non c'è niente da fare". Lui allora pestò un piede per terra, e fece la faccia più triste che gli abbia mai visto in tutta la guerra». Le cronache raccolgono la frase desolata del comandante davanti al più aggressivo dei suoi capitani, il più pittoresco, il più temerario: “Mi hanno ammazzato cento uomini”. Dopo aver ordinato che il corpo venga portato all'ospedale, il Che arriva all'assedio stretto intorno alla stazione di polizia e nomina capi plotone Tamayo e Hugo del Rio. Alcuni ribelli combattono piangendo. La pressione sulla stazione aumenta. Eravamo riusciti a prendere la centrale elettrica e tutta la parte nordovest della città, diffondendo per radio l'annuncio che Santa Clara era nelle mani della rivoluzione. In quell'annuncio, che diedi come Comandante in capo delle forze armate di Las Villas, ricordo che ebbi il doloroso compito di comunicare al popolo di Cuba la morte del capitano Roberto Rodriguez, il Vaquerito, piccolo di statura e di età, capo del plotone suicida, che mille e una volta aveva giocato con la morte lottando per la libertà.
(Tratto da: Senza perdere la tenerezza di PIT II)



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