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sabato 29 dicembre 2018

29 dicembre 1958 - Aleida March: una foto per la storia


Il Che e Aleida, che sono in continuo movimento per mettere in contatto i diversi plotoni, Il plotone di Rogelio Acevedo attacca il carcere e il tribunale. Quello di Rivalta entra nel quartiere del Condado in mezzo al giubilo popolare. La gente scende per le strade, porta caffè e cibo ai ribelli. Inizia la fabbricazione di molotov, si organizzano le milizie del quartiere. Comincia la pressione sui dintorni della Leoncio Vidal. I militari fanno un paio di tentativi di penetrazione con dei carri armati che vengono respinti dal fuoco ribelle. L'esercito non insiste. Il Che avvicina il comando alla zona di combattimento, dall'università ai laboratori dei Lavori pubblici, a meno di un chilometro dalla Carretera CentraI, dove hanno interrotto le rotaie. Nonostante i primi successi, la battaglia non è facile. I nostri uomini si battevano contro truppe appoggiate da unità corazzate e le mettevano in fuga, ma molti di loro pagarono con la vita il proprio slancio, e morti e feriti cominciavano a riempire cimiteri e ospedali improvvisati. Verso l'una il Che sta conversando con due dei suoi capitani, Guile e il Vaquerito, in una casa di proprietà del dottor Pablo Diaz. Ha diretto le operazioni in movimento, comparendo all'improvviso nei diversi punti della città in cui si sviluppano i combattimenti. I ribelli divisi in tre gruppi, i ribelli salgono sulla collina usando le granate per mettere in fuga i soldati, che rispondono con i mortai. I ribelli si riparano dal fuoco del treno utilizzando la collina stessa e riescono a respingere i soldati con uno scontro frontale e su terreno scoperto. Le truppe scendono dal lato opposto della collina per rifugiarsi nei vagoni. Verso le tre del pomeriggio il treno comincia a ritirarsi per sottrarsi al fuoco dei ribelli, che adesso approfittano del vantaggio dato dall'altezza della collina. Il treno viene spinto velocemente a marcia indietro. Il macchinista lo guida per quattro chilometri senza sapere che poco più in là sono stati divelti venti metri di binario. All'improvviso il treno si impenna e sbanda, e la locomotiva deragliata va a sbattere contro un'autorimessa, distruggendo le automobili al suo passaggio. Il frastuono è tremendo, non solo per l'impatto ma per lo stridere dei vagoni che deragliano. Diciotto ribelli controllano trecentocinquanta soldati. Sul tetto di una casa, a circa trenta o quaranta metri, viene installata una mitragliatrice calibro 30 che spara perforando le parti non blindate del tetto dei vagoni; sul treno cominciano a volare le bottiglie molotov. Espinosa ha conquistato tre dei ventidue vagoni e tiene gli altri sotto un fuoco continuo. Il Che e il capitano Pardo vengono avvertiti dell'accaduto mentre si trovano nel centro della città e stanno affrontando un'autoblindo, Il Che si sposta a tutta velocità verso il luogo del deragliamento. Quando arriva non riesce a resistere alla tentazione di gettarsi nel combattimento e sale su un vagone deragliato, dove c'era un cannoncino da 20 millimetri. Ci fu allora una lotta molto interessante, nella quale i soldati venivano tirati fuori dal treno blindato a colpi di molotov; dentro erano magnificamente protetti, anche se disposti a combattere solo a distanza, da comode posizioni e contro un nemico praticamente inerme, come i coloni con gli indiani dell'Ovest nordamericano. Incalzati da uomini che, da posizioni vicine e dai vagoni attigui, lanciavano bottiglie di benzina accese, il treno si trasformava, grazie alle piastre di blindaggio, in un autentico forno per i soldati. Mentre si combatteva, un messaggero arrivò di corsa per informare che dalla strada di Camajuani stavano arrivando rinforzi per i batistiani. Il Che lasciò a Pardo il comando delle forze d'assalto e andò a organizzare la difesa. Continua la sparatoria e il lancio di molotov sul treno. Un'ora più tardi Pardo propone una tregua. Dopo aver parlato con un sergente che lo minaccia con un Thompson e rifiuta di arrendersi, e con l'ufficiale medico del treno, riesce ad avere un colloquio con il comandante Gòmez Calderòn, che accetta di parlare con il Che, ma all'interno del treno. Pardo manda un messaggero a localizzare il comandante della colonna. Poco dopo ricompare il Che, che non si era allontanato troppo, dato che la notizia si è rivelata falsa. Leonardo Carranza della Croce rossa, che lo accompagna, si arrampica su un lampione e agita una bandiera bianca. Alle sue spalle Guevara sente una voce che gli dice: «Hai paura?». Aleida è lì e gli sorride. Il Che lasciò la sua arma a metà tragitto e si incontrò con il comandante Gomez, che aveva con sé la sua. Il Che glielo fece notare e l'ufficiale batistiano consegnò la pistola all'uomo della Croce rossa. I batistiani si arrendono. I ribelli esaminano il bottino catturato con occhi stupiti: sei bazooka, cinque mortai da 60 millimetri, quattro mitragliatrici calibro 30, un cannoncino da 20 millimetri, trentotto mitragliatrici leggere Browning, granate, seicento fucili automatici, una mitragliatrice calibro 50, quasi un milione di colpi. I loro cannoncini antiaerei, le loro mitragliatrici dello stesso tipo, la loro favolosa quantità di munizioni. È un armamento superiore a quello di tutte le forze ribelli che operano a Santa Clara. Il Che prende la macchina fotografica e chiede ad Aleida di mettersi in posa davanti al treno deragliato. «Ti faccio una foto per la storia». La fotografia ritrae Aleida March con il fucile in mano, occhiaie profonde, basco, camicia e bracciale del 26 Luglio e un mezzo sorriso, davanti alle lamiere.
(Tratto da: Senza perdere la tenerezza di PIT II)


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