Il
Che e Aleida, che sono in continuo movimento per mettere in contatto i diversi
plotoni, Il plotone di Rogelio Acevedo attacca il carcere e il tribunale.
Quello di Rivalta entra nel quartiere del Condado in mezzo al giubilo popolare.
La gente scende per le strade, porta caffè e cibo ai ribelli. Inizia la
fabbricazione di molotov, si organizzano le milizie del quartiere. Comincia la
pressione sui dintorni della Leoncio Vidal. I militari fanno un paio di
tentativi di penetrazione con dei carri armati che vengono respinti dal fuoco
ribelle. L'esercito non insiste. Il Che avvicina il comando alla zona di
combattimento, dall'università ai laboratori dei Lavori pubblici, a meno di un chilometro
dalla Carretera CentraI, dove hanno interrotto le rotaie. Nonostante i primi
successi, la battaglia non è facile. I nostri uomini si battevano contro truppe
appoggiate da unità corazzate e le mettevano in fuga, ma molti di loro pagarono
con la vita il proprio slancio, e morti e feriti cominciavano a riempire
cimiteri e ospedali improvvisati. Verso l'una il Che sta conversando con due dei
suoi capitani, Guile e il Vaquerito, in una casa di proprietà del dottor Pablo
Diaz. Ha diretto le operazioni in movimento, comparendo all'improvviso nei
diversi punti della città in cui si sviluppano i combattimenti. I ribelli divisi
in tre gruppi, i ribelli salgono sulla collina usando le granate per mettere in
fuga i soldati, che rispondono con i mortai. I ribelli si riparano dal fuoco
del treno utilizzando la collina stessa e riescono a respingere i soldati con uno
scontro frontale e su terreno scoperto. Le truppe scendono dal lato opposto
della collina per rifugiarsi nei vagoni. Verso le tre del pomeriggio il treno
comincia a ritirarsi per sottrarsi al fuoco dei ribelli, che adesso
approfittano del vantaggio dato dall'altezza della collina. Il treno viene
spinto velocemente a marcia indietro. Il macchinista lo guida per quattro
chilometri senza sapere che poco più in là sono stati divelti venti metri di
binario. All'improvviso il treno si impenna e sbanda, e la locomotiva
deragliata va a sbattere contro un'autorimessa, distruggendo le automobili al
suo passaggio. Il frastuono è tremendo, non solo per l'impatto ma per lo
stridere dei vagoni che deragliano. Diciotto ribelli controllano
trecentocinquanta soldati. Sul tetto di una casa, a circa trenta o quaranta
metri, viene installata una mitragliatrice calibro 30 che spara perforando le
parti non blindate del tetto dei vagoni; sul treno cominciano a volare le
bottiglie molotov. Espinosa ha conquistato tre dei ventidue vagoni e tiene gli
altri sotto un fuoco continuo. Il Che e il capitano Pardo vengono avvertiti
dell'accaduto mentre si trovano nel centro della città e stanno affrontando
un'autoblindo, Il Che si sposta a tutta velocità verso il luogo del
deragliamento. Quando arriva non riesce a resistere alla tentazione di gettarsi
nel combattimento e sale su un vagone deragliato, dove c'era un cannoncino da
20 millimetri. Ci fu allora una lotta molto interessante, nella quale i soldati
venivano tirati fuori dal treno blindato a colpi di molotov; dentro erano
magnificamente protetti, anche se disposti a combattere solo a distanza, da
comode posizioni e contro un nemico praticamente inerme, come i coloni con gli
indiani dell'Ovest nordamericano. Incalzati da uomini che, da posizioni vicine
e dai vagoni attigui, lanciavano bottiglie di benzina accese, il treno si
trasformava, grazie alle piastre di blindaggio, in un autentico forno per i
soldati. Mentre si combatteva, un messaggero arrivò di corsa per informare che dalla
strada di Camajuani stavano arrivando rinforzi per i batistiani. Il Che lasciò
a Pardo il comando delle forze d'assalto e andò a organizzare la difesa. Continua
la sparatoria e il lancio di molotov sul treno. Un'ora più tardi Pardo propone
una tregua. Dopo aver parlato con un sergente che lo minaccia con un Thompson e
rifiuta di arrendersi, e con l'ufficiale medico del treno, riesce ad avere un
colloquio con il comandante Gòmez Calderòn, che accetta di parlare con il Che,
ma all'interno del treno. Pardo manda un messaggero a localizzare il comandante
della colonna. Poco dopo ricompare il Che, che non si era allontanato troppo,
dato che la notizia si è rivelata falsa. Leonardo Carranza della Croce rossa,
che lo accompagna, si arrampica su un lampione e agita una bandiera bianca.
Alle sue spalle Guevara sente una voce che gli dice: «Hai paura?». Aleida è lì
e gli sorride. Il Che lasciò la sua arma a metà tragitto e si incontrò con il
comandante Gomez, che aveva con sé la sua. Il Che glielo fece notare e
l'ufficiale batistiano consegnò la pistola all'uomo della Croce rossa. I batistiani
si arrendono. I ribelli esaminano il bottino catturato con occhi stupiti: sei
bazooka, cinque mortai da 60 millimetri, quattro mitragliatrici calibro 30, un
cannoncino da 20 millimetri, trentotto mitragliatrici leggere Browning,
granate, seicento fucili automatici, una mitragliatrice calibro 50, quasi un
milione di colpi. I loro cannoncini antiaerei, le loro mitragliatrici dello
stesso tipo, la loro favolosa quantità di munizioni. È un armamento superiore a
quello di tutte le forze ribelli che operano a Santa Clara. Il Che prende la
macchina fotografica e chiede ad Aleida di mettersi in posa davanti al treno
deragliato. «Ti faccio una foto per la
storia». La fotografia ritrae Aleida March con il fucile in mano, occhiaie
profonde, basco, camicia e bracciale del 26 Luglio e un mezzo sorriso, davanti
alle lamiere.
(Tratto da: Senza perdere la tenerezza di PIT II)
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