TODO CAMBIA ...

lunedì 31 dicembre 2018

la mattina del 31 dicembre 1958 il regime del dittatore frana.


Il 31 dicembre un giovane giornalista incontra il comandante Guevara nel comando dell'Esercito ribelle. In lontananza si sentono le esplosioni delle bombe che i B-26 di Batista continuano a sganciare sulla città. «Qualcuno che avevo accanto mi mostrò il Che, indicandolo con la mano. Ed era lì, in effetti. Magro, i capelli ridotti a un groviglio, un braccio al collo, l'uniforme lacera. Chiunque lo avrebbe preso per il più umile dei soldati, non fosse stato per lo sguardo penetrante che scintillava in modo insolito sul viso affaticato.» A quel Che sull'orlo dell'esaurimento fisico restano di fronte la stazione di polizia, che gli è costata la morte di uno dei suoi capitani migliori, la caserma Leoncio Vidal, che con i suoi milletrecento soldati continua a essere superiore per volume di fuoco a tutte le truppe rivoluzionarie in città, i cecchini del Gran Hotel, il tribunale e la caserma della guardia rurale accerchiata dalla colonna del Direttorio. Il Che progetta l'ultima spallata alle forze nemiche. Lo fa basandosi su un'accurata analisi dell'atteggiamento dei militari batistiani, sulla loro tendenza a non attaccare. Ha su di sé la responsabilità di mandare in battaglia per il quarto giorno consecutivo uomini che a malapena hanno dormito e hanno sulle spalle due settimane di combattimenti continui, che hanno subìto perdite importanti tra i comandanti e si battono continuamente contro un nemico superiore di numero e appoggiato dai carri armati. Ricordo un episodio che dimostrava lo spirito delle nostre forze in quegli ultimi giorni. Avevo rimproverato un soldato che stava dormendo in piena battaglia, e lui mi rispose che lo avevano disarmato perché gli era sfuggito un colpo. Gli risposi con la mia abituale secchezza: «Guadagnati un altro fucile andando in prima linea disarmato ... se sei capace di farlo». A Santa Clara, mentre incoraggiavo i feriti nell'ospedale d'emergenza, un moribondo mi toccò la mano e disse: «Ricorda, comandante? Mi ha mandato a cercarmi un'arma a Remedios ... e me la sono guadagnata qui». Era il combattente a cui era sfuggito un colpo, che pochi minuti dopo morì, ed era contento di aver dimostrato il proprio coraggio. Quell'adolescente morto si chiamava Miguel Arguin. La mattina stessa a Santa Clara si combatte in tutta la città. Rogelio Acevedo, aiutato da un gruppo di giovani lustrascarpe, quasi dei bambini, ha tentato di incendiare il tribunale con una tanica da cinque galloni di benzina, ma ha fallito. Di fronte alla stazione di polizia gli uomini del plotone suicida appoggiati da rinforzi preparano l'attacco finale. I membri del plotone vogliono vendicare la morte del Vaquerito. Dentro la stazione il colonnello Rojas ha ucciso uno dei suoi uomini, il capitano Olivera, perché voleva arrendersi. La chiesa del Carmen è stata presa fin dal giorno prima da un gruppo di ribelli, che ha aperto una breccia nella parte posteriore e da lì spara sul comando. Un carro armato tenta una sortita, l'uomo che lo guida viene colpito alla testa dai ribelli e adesso il veicolo è immobile. All'interno della stazione i morti cominciano a decomporsi, non si possono curare i feriti, i poliziotti hanno fame, sono demoralizzati e i ribelli sparano contro di loro in continuazione. Verso le quattro del pomeriggio il colonnello Rojas chiede una tregua per far uscire i feriti. Tamayo gli concede due ore, poi intima la resa. Negoziano in mezzo alla strada, ma non giungono a un accordo. Quando il fuoco sta per ricominciare il colonnello parla di nuovo con Leonardo Tamayo, e questi si dirige verso la stazione seguito da alcuni ribelli che è costretto a trattenere. Una volta dentro parla direttamente ai poliziotti, dice che se non vogliono più combattere devono lasciare i fucili e radunarsi all'esterno. Come se l'ordine fosse venuto dal colonnello Rojas in persona, i poliziotti cominciano a uscire dalla stazione. Sono trecentonovantasei: i ribelli che li assediavano sono centotrenta. La popolazione entra nella stazione e nei sotterranei vengono trovati strumenti di tortura. Non cade solo la stazione di polizia. La sede del governo provinciale, presidiata da un centinaio di soldati, viene attaccata dalle forze di Alfonso Zayas e, alle spalle, dal plotone di Alberto Fernandez, che sfondando muri riesce a penetrare nell'edificio. Lì il capitano Pachungo Fernandez, con una granata in mano, sorprende i soldati e li costringe ad arrendersi. Il plotone del capitano Acevedo prende il tribunale nonostante i carri armati che lo proteggono. Cinque aerei bombardano la città, con bombe da cinquecento libbre che distruggono le case come se fossero di carta. Si accaniscono soprattutto sul palazzo del tribunale, appena catturato dai ribelli, ma le mitragliatrici antiaeree prese nel treno blindato cominciano a sparare e gli aerei scompaiono dal cielo di Santa Clara. Cade il carcere, vengono liberati i detenuti politici e i prigionieri comuni scappano attraverso una breccia approfittando della confusione. Cominciano a premere sulla Leoncio Vidal i plotoni ribelli dal centro della città e le forze di Rivalta dal quartiere del Condado, che arrivano a trincerarsi a cento metri dal reggimento. Scrive Aleida: «Avanzammo verso il centro su dei carri armati che avevamo preso alla stazione di polizia. Era la prima volta che entravo in un carro armato e mi sembrava di stare dentro una trappola per topi». Luis Alfonso Zayas aggiunge: «Avevamo circondato il Gran Hotel quando, verso le undici di sera, vedo un carro armato che dalla via della stazione si dirige verso il parco Vidal. Spunta fuori il Che. "Comandante, che ci fa lì dentro? Lo sa che i nostri hanno proiettili antiblindo e bazooka?" E lui rispose senza darmi retta: No, non gli arrivo addosso da dietro come con te, so bene dove sono».Si combatte davanti al Gran Hotel, dove al decimo piano c'è una dozzina di cecchini, poliziotti, membri dell'odiato SIM, il Servicio de inteligencia militar, torturatori, che usano anche gli ospiti come scudo umano rifiutando di lasciarli uscire dall'albergo. Dal parco e dagli edifici di fronte si spara contro di loro. Alberto Pernandez guida un gruppo che va a incendiare il secondo piano con le molotov. I cecchini sono intrappolati nell'albergo, non hanno cibo e l'acqua è stata loro tagliata. Ma dall'alto hanno ferito molti civili e miliziani che attraversavano il parco e hanno ancora munizioni. La squadra del minore degli Acevedo, Enrique, partecipa a una "gara di rottura delle finestre" con i cecchini batistiani. Si combatte con lo squadrone 31. Le cannonate dei carri armati distruggono l'edificio della Canada Dry e diverse villette limitrofe da cui i ribelli sparano contro la caserma. Sempre più da vicino. A metà pomeriggio di quel 31 dicembre, il comando del Che riceve, attraverso la sua stazione radio, la notizia che Yaguajay si è arresa alle truppe di Camilo. Adesso quelle forze sono disponibili per l'assalto finale alla Leoncio Vidal. Alle dieci di sera Casillas Lumpuy si mette in comunicazione con Batista, gli dice che la città sta per cadere in mano ai ribelli e che ha urgente bisogno di rinforzi. Non ottiene dal dittatore neppure una falsa promessa. Durante la notte, dopo aver arringato soldati e ufficiali esigendo da loro una resistenza eroica, si traveste con un cappello di paglia e un vestito da civile e, dicendo che deve fare un'ispezione nella provincia, scappa dalla caserma con il capo delle operazioni, Fernandez Suero. Ormai ai batistiani restano solo tre sacche armate: il Gran Hotel, la caserma dello squadrone 31 e la Leoncio Vidal. Il Che sa che da un momento all'altro Fidel darà inizio all'offensiva finale su Santiago de Cuba e ha fretta di spazzar via quei tre punti di resistenza. Il 1958 sta per finire. 



Nessun commento:

Posta un commento