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mercoledì 11 luglio 2018

Lidia e Clodomira: le donne della rivoluzione cubana


Conobbi Lidia appena sei mesi dopo l'inizio dell'impresa rivoluzionaria. Ero appena stato nominato comandante della quarta colonna e stavamo scendendo, in un'incursione lampo, a cercare viveri nel villaggio di San Pablo de Yao, presso Bayamo, sui contrafforti della Sierra Maestra. Una delle prime case del villaggio apparteneva a una famiglia di panettieri. Lidia, donna di circa quarantacinque anni, era uno dei padroni della panetteria. Dal primo momento lei, il cui unico figlio aveva appartenuto alla nostra colonna, si unì entusiasticamente e con una devozione esemplare alle fatiche della rivoluzione. Quando evoco il suo nome, c'è qualcosa di più di un apprezzamento affettuoso per la rivoluzionaria senza macchia, poiché lei aveva una devozione particolare per la mia persona che la spingeva a lavorare preferibilmente ai miei ordini quale che fosse il fronte di operazioni al quale venissi assegnato. Innumerevoli gli episodi ai quali Lidia partecipò in qualità di messaggera speciale, mia o del Movimento. Portò a Santiago de Cuba e a L'A vana le carte più compromettenti, tutti i comunicati della nostra colonna, i numeri del periodico «El Cubano Libre». Portava anche la carta, portava medicine, portava, insomma, ciò che era necessario e tutte le volte che era necessario. La sua audacia senza limiti faceva sì che i messaggeri maschi evitassero la sua compagnia. Ricordo sempre gli apprezzamenti, fra burocratici e turbati, di uno di loro che mi diceva: «Quella donna ne ha più ... di Maceo, ma ci distruggerà tutti; fa cose da matti, questo non è il momento di scherzare». 
Lidia, però, continuava ad attraversare senza sosta le linee nemiche.
Mi trasferirono nella zona di Mina del Frio, nelle Vegas de Jibacoa e lei mi raggiunse lì, lasciando l'accampamento ausiliario del quale era stata comandante per un certo tempo, e gli uomini che aveva comandato con energia e persino con modi un po' tiranni ci, provocando qualche rimostranza fra i cubani non abituati a essere comandati da una donna. La nostra postazione era la più avanzata della rivoluzione, situata in una località denominata la Cueva, fra Yao e Bayamo. Dovetti toglierle il comando perché era una posizione troppo pericolosa e una volta individuata, accadeva spesso che i ragazzi dovessero andar via da lì sul filo delle pallottole. Cercai di allontanarla definitivamente ma ci riuscii soltanto quando mi seguì nel nuovo fronte di combattimento. Fra gli aneddoti che dimostrano il carattere di Lidia ricordo adesso il giorno in cui morì un grande combattente ancora imberbe che di cognome faceva Geilin, di Cardenas. Quando Lidia era lì, il ragazzo faceva parte della nostra avanguardia. Mentre andava verso l'accampamento, di ritorno da una missione, vide le guardie che avanzavano di nascosto sulla postazione, in seguito senza dubbio a una spiata. La reazione di Lidia fu immediata. Estrasse il piccolo revolver 32 per dare l'allarme con un paio di spari in aria. Mani amiche glielo impedirono in tempo, altrimenti sarebbe costata la vita a tutti. Ma i soldati avanzarono e presero di sorpresa la postazione dell'accampamento. Guillermo Geilin si difese coraggiosamente fin quando, ferito due volte, sapendo che cosa gli sarebbe successo se fosse caduto vivo nelle mani degli sbirri, si suicidò. I soldati arrivarono, bruciarono ciò che c'era da bruciare e se ne andarono. Il giorno seguente incontrai Lidia. Il suo aspetto esprimeva la più grande disperazione per la morte del piccolo combattente e anche indignazione contro la persona che le aveva Impedito di dare l'allarme. Avrebbero ucciso me, diceva, ma il ragazzo si sarebbe salvato; io ormai sono vecchia, lui non aveva neanche vent' anni. Era quello l'argomento centrale delle sue conversazioni. A volte sembrava che ci fosse come una sfida nel suo continuo disprezzo verbale per la morte, ma tutte le missioni che le venivano assegnate venivano portate perfettamente a termine.
Sapeva quanto mi piacevano i cuccioli e mi prometteva continuamente che me ne avrebbe portato uno da L'A vana, ma non' riuscì a mantenere la promessa. Nei giorni della grande offensiva dell'esercito, Lidia portò a termine pienamente la sua missione. Entrò e uscì dalla Sierra, portò e consegnò documenti importantissimi, stabilendo i nostri contatti col mondo esterno. L'accompagnava un'altra combattente della sua stirpe, della quale non ricordo che il nome, come quasi tutto l'esercito ribelle che la conosce e la venera: Clodomira. Lidia e Clodomira erano diventate compagne inseparabili nel pericolo, andavano e venivano insieme da una parte all'altra. Avevo ordinato a Lidia che, appena arrivata a Las Villas, dopo l'invasione, si mettesse in contatto con me, perché doveva essere il principale mezzo di comunicazione con L'Avana e con il comando generale della Sierra Maestra. Arrivai e subito dopo trovammo la sua lettera nella quale mi annunciava che aveva un cucciolo da regalarmi e che me lo avrebbe portato col prossimo viaggio. Quello fu il viaggio che Lidia e Clodomira non realizzarono mai. Poco dopo venni a sapere che la debolezza di un uomo, cento volte inferiore come uomo, come combattente, come rivoluzionario o come persona, aveva permesso l'individuazione di un gruppo del quale Lidia e Clodomira facevano parte. I nostri compagni si difesero fino alla morte. Lidia era ferita, quando la portarono via.
I loro corpi sono scomparsi, Lidia e Clodomira stanno dormendo il loro ultimo sonno, insieme senza dubbio, come insieme avevano lottato negli ultimi giorni della grande battaglia per la libertà.
Forse un giorno i loro resti verranno ritrovati in qualche deposito di immondizie o in qualche campo solitario di quell'enorme cimitero che è stata l’isola intera. Ma nell'esercito ribelle, fra quelli che lottarono e si sacrificarono in quei giorni angosciosi, vivrà eternamente il ricordo delle donne che rischiando quotidianamente rendevano possibili le comunicazioni in tutta l'isola e fra tutte, per noi, per quelli che facemmo parte del Fronte numero 1 e, personalmente, per me, Lidia occupa un posto particolare. Per questo vengo oggi a lasciare come omaggio queste parole di ricordo, come un modesto fiore, davanti alla tomba che aprì migliaia di bocche nella nostra isola un tempo così allegra.
(diario del Che )


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