Il
28 dicembre sarà il giorno decisivo per la battaglia di Santa Clara. Quella
notte il Che non dorme: con una scorta percorre la strada ferrata cercando di
trovare il punto debole del treno blindato e sceglie il luogo in cui togliere
le rotaie. Dice ad Aleida di procurare un caterpillar e lei, non sapendo cosa
sia, annota «catres, palas, pilas» (brandine, pale, batterie), per la qual cosa
verrà poi abbondantemente presa in giro. Poco prima dell'alba, utilizzando un caterpillar
giallo D-6 dell'istituto di agraria dell'Università di Santa Clara, i ribelli
rimuovono un tratto di rotaie a circa quattro chilometri dal punto in cui si
trova il treno: in quel modo gli impediscono di retrocedere verso le installazioni
della caserma Leoncio Vidal. Il capitano Acevedo ricorda: il Che «a volte faceva
delle cose, oppure ordinava di fare qualcosa, di cui non capivamo immediatamente
il senso, ma che erano il frutto del suo grande intuito militare». Una volta
isolati il treno e la Loma del Capiro, dove hanno preso posizione diversi
soldati, il Che ordina di proseguire l'avanzata verso il centro della città. Il
plotone suicida viene mandato ad attaccare la stazione di polizia, quello di
Acevedo a combattere nella zona del tribunale e del carcere, e il piccolo plotone
di Alberto Pernandez verso il Gran Hotel. Al plotone del capitano Zayas viene
ordinato di combattere contro i soldati che si trovano sulla Loma del Capiro, e
al capitano Alvarez di fare da rinforzo ai combattenti del Direttorio che
affrontano le forze dello squadrone 31 e la caserma Los Caballitos. Il plotone
della riserva, al comando del tenente Rivalta, riceve l'ordine di entrare nel quartiere
del Condado e di attaccare l'edificio Raul Sànchez e l'edificio Marti, e di
esercitare un'azione di contenimento delle forze della Leoncio Vidal. Isolare la
forza centrale, attaccare le concentrazioni più deboli: è lo schema guevariano
dell'ultimo mese. Le truppe del Che entrano a Santa Clara. Se il plotone di Rivalta
sa dove va, perché il suo tenente è nato in quel quartiere, lo stesso non si
può dire per le forze di Acevedo, che avanzano lungo il marciapiede opposto; e
neppure per il plotone suicida, che si trova del tutto disorientato a Santa Clara.
Lo stesso Che ha dovuto ricorrere ai leader della struttura clandestina per
farsi guidare nella città senza luce, in particolare all'inestimabile aiuto di Aleida
March. Così, un esercito di straccioni barbuti che sembrano fantasmi attraversa
la città nelle ore notturne. Santa Clara è adesso divisa in due. All'alba del
29 l'infiltrazione aveva già dato risultati, i ribelli erano sparsi per tutta
la città. Anni dopo, forse ricordando quella notte, il Che dirà: Il combattente
guerrigliero è un
combattente notturno, e con questo voglio dire anche che possiede tutte le qualità
dell'animale notturno ...
Ripresosi
dalla sorpresa iniziale, l'esercito batistiano riesce a mobilitare le sue
truppe, a dispiegarle e ad affrontare con un contrattacco i guerriglieri, che
supera in proporzione schiacciante per numero e potenza di fuoco. O ci
riuscirà, oppure il fronte invisibile del Che, l'inesistente prima linea che ha
creato con l'infiltrazione, andrà consolidando le proprie posizioni, isolando
le ridotte, immobilizzando i soldati e conquistando l'appoggio della
popolazione. Un paio d'anni dopo il Che scriverà nella Guerra di guerriglia una
frase che farà impazzire i teorici militari, una frase piena di umorismo: Non
esistono prime linee determinate. La prima linea è una cosa più o meno teorica. Quei giorni di dicembre nessun
cartografo avrebbe potuto tracciare la linea divisoria che separava soldati e
ribelli: la linea non esisteva. Compenetrati, mescolati al paesaggio urbano, i
ribelli avevano spezzato il cordone difensivo del colonnello Castillas e gli si
erano infilati in casa. All'alba le truppe del Direttorio che attaccavano la
caserma Los Caballitos iniziano un nuovo avvicinamento. Rolando Cubela viene
ferito da una raffica di mitragliatrice. Gustavo Machin Hoed prende il comando
dell'offensiva. Nel frattempo la città è di nuovo alla mercé delle bombe. Due B-26
bombardano e mitragliano. Il giornalista [osé
Lorenzo Fuentes testimonia: «Gli abitanti delle zone in cui si
combatteva abbandonavano le case spaventati. Vecchi, donne e bambini
vagabondavano per la città con i loro fagotti sotto braccio, in cerca di un
rifugio sicuro per salvarsi la vita. La fame, la sofferenza e il terrore
segnavano i loro volti. La mitraglia degli aerei si riversava sui tetti, e diversi
civili restavano feriti o uccisi. Molti cadaveri dovevano trovare sepoltura nei
cortili delle case, senza neppure una bara. Un bambino di dodici anni fu colpito
dalla mitraglia in pieno petto e i genitori non riuscirono nemmeno ad avvicinarsi
a lui».
(tratto da Senza perdere la tenerezza di PIT II)
(tratto da Senza perdere la tenerezza di PIT II)
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