Durante
la notte arriva Camilo alla testa della sua colonna; i due amici si incontrano
nell'edificio dei Lavori pubblici mentre per la colonna di Camilo vengono
preparati seicento panini e ventiquattro casse di birra Hatuey. Saranno loro i
primi a muoversi verso L'Avana dove arriveranno la mattina intorno alle cinque. Nella
notte all'Avana, dopo che si è saputo della fuga di Batista, gli studenti cominciano
a concentrarsi, e sulla collina dell'università compaiono delle bandiere del 26
Luglio. La popolazione si riversa nelle strade, ci sono saccheggi nell'Hotel
Biltmore, nel Sevilla Plaza e nei casinò. Milizie del 26 Luglio occupano le
redazioni dei giornali batistiani, e per rappresaglia la polizia apre il fuoco
sulle concentrazioni di civili nei quartieri bassi. Vengono liberati i prigionieri
dal carcere del Principe. Nel caos i quadri urbani del 26 Luglio e del II
Fronte cercano di coprire i vuoti di un potere molto precario, perché dopotutto
ci sono ancora migliaia di soldati batistiani nelle caserme. I poliziotti
abbandonano diverse stazioni, solo in alcune rispondono sparando alla pressione
della moltitudine che si va radunando nelle strade. Alle
due del pomeriggio l'ambasciatore statunitense Earl T. Smith, accompagnato da
altri membri del corpo diplomatico, si riunisce con Cantillo (non con il
presidente Piedra: non c'è dubbio su chi detenga il potere reale). Gli statunitensi
cercano un'uscita dalla dittatura che non passi per Fidel e per il 26 Luglio ma
che escluda i batistiani, tentando così, in modo molto goffo, di salvare le
apparenze. Il settore su cui puntano per il ricambio è quello dei "militari
puri", capeggiati da Barquin y Barbonet, che avevano cospirato contro
Batista ed erano in carcere. Cantillo è docile alle pressioni e alle sette di
sera fa uscire il militare dalla prigione di Isla de Pinos insieme al leader
del 26 Luglio Armando Hart. La
popolazione è per le strade. La festa popolare dilaga per Santa Clara, grida e
pianti, i ribelli sono portati in trionfo dalla folla. Nella città liberata si
balla e si canta, e si chiede anche la fucilazione dei torturatori catturati. Oltuski
continua: «La notizia della resa dell'esercito della dittatura era corsa per
tutta la città e migliaia di persone stavano convergendo nell'edificio in cui
ci trovavamo. Sapevano che lì c'era il Che e nessuno voleva perdere l'occasione
di conoscerlo. Fu necessario mettere delle guardie all'entrata per impedire che
quella massa umana ci travolgesse. «Al
piano di sopra fu organizzato un carcere provvisorio per i criminali di guerra
delle forze repressive che, uno dopo l'altro, venivano scoperti e catturati dal
popolo». Le
fonti si contraddicono rispetto ai nomi e al numero, ma non c'è alcun dubbio
che durante quelle prime ore della liberazione di Santa Clara il Che abbia
firmato la condanna a morte di diversi poliziotti batistiani che la gente
accusava di essere torturatori e violentatori. All'inizio si tratta di molti
degli arrestati che avevano operato come cecchini nell'hotel di Santa Clara:
Villaya, Félix Montano, José Barroso Pérez, Ramon Alba Moya, Mirabal. Aleida
precisa che fu Marta Lugioyo, un avvocato del 26 Luglio, a redigere gli ordini
di fucilazione, in accordo con il codice penale che vigeva sulla Sierra. A
questo gruppo va aggiunto il comandante della guarnigione, Casillas Lumpuy, che
era stato arrestato dalle truppe di Bord6n mentre tentava di fuggire dalla città.
Non feci né più né meno di quello che esigeva la situazione: la condanna a
morte di quei dodici assassini perché avevano commesso crimini contro il popolo,
non contro di noi. Tra l'altro, Casillas non morirà fucilato ma lottando con
una delle guardie che lo stanno portando all'esecuzione. La fotografia di Casillas,
vestito con una camicia a quadri a maniche corte, che tenta di togliere il
fucile al suo custode farò il giro del mondo. Due giorni dopo sarà fucilato il
capo della polizia Cornelio Rojas, arrestato a Caibarién nel tentativo di
fuggire. Mentre a Santa Clara i combattenti del Che e del Direttorio mantengono
un ferreo controllo sulle armi e sulla situazione nelle strade, all'Avana la
folla esercita una giustizia per molto tempo rimandata: una specie di
vandalismo razionale e selettivo guida la gente che attacca le stazioni della
Shell, di cui si diceva che avesse collaborato con Batista regalandogli dei
carri armati, devasta i casinò, proprietà della mafia statunitense e del
sottobosco batistiano, distrugge i parchimetri, uno degli affari loschi del
sistema, assalta la casa dei rappresentanti del regime (in quella del
sindacalista Mujal buttano dalla finestra l'impianto dell'aria condizionata).
La perdita di controllo dell'apparato repressivo, che si va disgregando in
pochi secondi con la fuga in massa dei quadri batistiani, genera un vuoto di
potere che né Cantillo né Barquin riescono a riempire, di fronte al rifiuto di
trattare delle forze rivoluzionarie. Vengono presi gli studi della televisione
e davanti alle telecamere testimoni spontanei denunciano gli orrori della
passata repressione batistiana. Alle nove di sera viene concordata la resa di Santiago.
Fidel entra nella capitale d'Oriente, riceve il giuramento come presidente del
magistrato Manuel Urrutia e annuncia che marcerà sull'Avana. Ripete la
proclamazione di uno sciopero generale rivoluzionario. Radio Rebelde diffonde
il divieto di consumare alcolici nelle città liberate. A
Santa Clara il Che comincia a raggruppare i plotoni dispersi della sua colonna:
vengono convocate le forze di Bordon e di Ramiro. Alcune macchine con
altoparlante girano per la città chiamando a raccolta i ribelli della colonna. Il Che viene a sapere che alcuni combattenti si stanno impadronendo di
automobili abbandonate dai batistiani fuggiti e, infuriato, ordina che vengano
consegnate le chiavi. Non avrebbero buttato all'aria in un momento quello che
l'Esercito ribelle aveva sempre avuto come norma: il rispetto per gli altri.
Sarebbero andati all'Avana in camion, in autobus o a piedi, ma tutti allo stesso
modo. Fa una ramanzina al giovane Rogelio Acevedo, che ha requisito una
Chrysler del '58, e lo manda a prendere la sua vecchia jeep. In quelle ore
riceve una comunicazione da Gutiérrez Menoyo, che mette a sua disposizione le
truppe del II Fronte. Non c'era nessun problema. Demmo quindi istruzioni perché
ci aspettassero, dato che dovevamo sistemare le questioni civili della prima
grande città conquistata. Il
combattente Mustelier chiede al Che il permesso di andare nell'Oriente per
vedere la sua famiglia: il comandante della colonna risponde seccamente di no.
«Ma Che, ormai abbiamo vinto la rivoluzione.» «No,
abbiamo vinto la guerra. La rivoluzione comincia adesso»
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