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sabato 5 gennaio 2019

8 gennaio 1959: a l'Avana arriva Fidel

Il 5 gennaio, dopo continui ritardi e false partenze, Urrutia atterra all'aeroporto di Boyeros, alla periferia dell'Avana. Camilo ha decretato la legge marziale e ha schierato gli uomini della sua colonna. Una fotografia immortala il presidente nell'aeroporto affiancato dal comandante delle forze ribelli nella capitale e dal Che, che ha tra le mani il solito sigaro. Sulle facce dei tre c'è una certa tensione. Una tensione infondata, perché il Direttorio avrebbe consegnato il Palacio a Urrutia alle sette di quella sera. Non si è arrivati a uno scontro aperto, e le divergenze di vedute tra i rivoluzionari sono messe da parte. Si tiene una prima sessione del gabinetto governativo, alla fine della quale viene revocata la legge marziale. Verso la fine della riunione al Palacio si fa vivo di nuovo l'ambasciatore statunitense. Uomo poco amato e accusato di essere stato il più importante sostegno di Batista, la sua presenza e la sua pretesa di dettare condizioni provocano rabbia fra i ribelli. La rivista Bohemia riporta: «La rabbia dei combattenti era trattenuta solo dal rispetto per la vicina nazione del nord». Fernandez Mell racconta che il primo comando a La Cabafia venne stabilito nella «casa del colonnello Fernàndez Miranda (cognato di Batista), il quale, fino alla sua fuga insieme al dittatore, era stato il capo del reggimento [ ... l. Guevara assegnò subito le camere: una stanza per lui, una per Aleida, una per me e due per Villegas, Castellanos, Argudin e Hermes [ .. ·l. Una settimana dopo ci trasferiamo, ed è così che si inizia a parlare del famoso Comando del Che a La Cabaňa». Nell'ufficio di La Cabafia, una stanzina stretta con una scrivania in fondo, la cui maggiore virtù sono le quattro piccole finestre che danno sulla baia dell'Avana permettendo di vedere in lontananza la cupola del Campidoglio, il Che rilascerà quel giorno le sue prime interviste al giornale argentino La Tarde e a Revoìucion; in seguito ai cubani La Tarde e al Mundo, e nei giorni seguenti a Prensa Libre, a Bohemia e a una moltitudine di corrispondenti internazionali. Per una settimana sarà assediato dalla stampa. Passa al contrattacco: Chia- mare comunisti tutti quelli che rifiutano di sottomettersi è un vecchio trucco dei dittatori; il 26 Luglio è un movimento democratico. Le fotografie mostrano un Che emaciato con occhiaie profonde, ma anche, di tanto in tanto, con un sorriso ironico. Il Che prova a muovere il polso che gli fa ancora male, risponde continuamente al telefono. Non riesce ancora a trovarsi a suo agio con la stampa. Non è abituato a quella valanga di giornalisti, quello che facciamo per la libertà di un popolo non è un argomento da pubblicare, e meno ancora gli aspetti della nostra vita privata. In una delle interviste realizzate in quella prima settimana della rivoluzione qualcuno gli racconta l'aneddoto secondo cui le trasmittenti dell'esercito di Batista lo identificavano come "il ribelle con l'asino". Cose che capitano, risponde il Che. Incalzato dalle domande dei giornalisti non riesce a ritrovarsi, nemmeno nelle sue risposte; forse perché non capisce quali siano il suo posto e il suo ruolo in quei momenti del processo rivoluzionario. Persino le sue opinioni sulla riforma agraria sono molto caute: Una delle misure fondamentali sarà dare al contadino ciò che gli spetta. Come se per lui non fosse essenziale una radicale riforma agraria, come se non sapesse a che cosa ha diritto il guajiro per aver partecipato alla vittoria. Si muove tra i luoghi comuni (L'unità è un fattore essenziale) e le verità ovvie (A Cuba si dà un taglio alla menzogna che non si possa fare la rivoluzione contro l'esercito). Sembra ideologicamente sconcertato, appare privo di chiarezza, come se si autocensurasse davanti alla stampa. È evidente che non riesce a trovare il suo posto nella vittoria. I giornalisti scoprono Aleida March tra gli ufficiali dell'Esercito ribelle che si muovono intorno al Che. Qui non siamo a Las Villas e Aleida è un personaggio sconosciuto. Anche lei rilascia un' intervista, una delle poche che concede nella sua vita: «lo non sono la segretaria del Che, perché sono una combattente. Insieme a lui ho fatto la campagna di Las Villas e ho preso parte a tutte le battaglie avvenute in quella zona. Quando mi divenne praticamente impossibile continuare a vivere a Santa Clara per via delle mie attività rivoluzionarie, decisi di unirmi a quelli che combattevano la dittatura con le armi in pugno [ ... l. Confesso che all'inizio quella vita mi risultava molto difficile, ma poi mi sono abituata, soprattutto quando ci furono i primi scontri con il nemico». Non le strapperanno altro.
L'8 gennaio, dalla fortezza di La Cabaňa, il Che sente il clamore provocato dall'arrivo della colonna di Fidel. Con un binocolo osserva la prima jeep su cui Fidel, accompagnato da Camilo, guida la colonna in mezzo a una folla che impedisce fisicamente il passaggio dei veicoli. Fidel si reca a la Cabaňa, seguito poco dopo da Raùl Castro e Vilma Espin. Insiema a Camilo e il Che si mettono a confabulare fra loro seduti su un letto.
Parlano del futuro di una rivoluzione che comincia?
(tratto da : Senza perdere la tenerezza di PIT II)


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