cubani. L’analfabetismo, la fame, la mortalità infantile, le condizione di vita infernali, continuarono a essere la normalità. La capitale godeva di uno standard di vita tra i più elevati di tutta l’America latina ma non esisteva in realtà un’idea di redistribuzione del reddito che finiva inevitabilmente nelle tasche delle élite che si erano legata senza indugio a quella nordamericana, formando un cartello dominante che aveva unito magnati dello zucchero, del tabacco e della frutta, del turismo e finanzieri di calibro internazionale. Nel giro di dieci anni il divario tra ricchi e poveri era aumentato a dismisura. Nei primi mesi del 1952 Batista, con un colpo di Stato ben orchestrato, aveva preso il potere in una notte, senza sparare un colpo, sospendendo la Costituzione, sciogliendo i partiti, proibendo le manifestazioni. L’amministrazione Truman si era schierata, senza esitazioni, a fianco del dittatore. Il popolo cubano, attonito, non aveva reagito, tranne Castro che aveva affermato: “Non esiste nulla di così amaro nel mondo che lo spettacolo di un popolo che si addormenta libero e si risveglia schiavo”.
(tratto da: Il Vento prima del vento)
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