Il
sole non è ancora sorto a Santa Clara. Nelle prime ore del mattino i giornali dell'Avana
riportano un cablogramma della Associated Press in cui viene presentata la
versione "ufficiale" dei fatti, ossia l'esatto contrario di quello
che in realtà sta succedendo: «Le truppe governative appoggiate da carri armati
e aviazione hanno schiacciato le forze ribelli in ritirata nei dintorni di
Santa Clara e le hanno messe in fuga verso est fuori dalla provincia di Las
Villas». Intanto nella caserma dello squadrone 31, i soldati hanno smesso di
sparare. Dreke si avvicina con cautela. Una bandiera bianca spunta da una
finestra. Rolando Cubela è tornato a combattere dopo una degenza lampo in
ospedale. Il Che gli ha appena fatto arrivare un breve messaggio: Rolando,
esigi una resa senza condizioni. Ti appoggerò con i rinforzi necessari. Saluti.
Che. Lo squadrone 31 si arrende. Tra i soldati che si stanno consegnando corre
voce che Batista è fuggito. I ribelli si guardano stupefatti. È tutto finito?
Il capitano Milian, comandante delle truppe che si sono arrese, con il permesso
dei dirigenti del Direttorio si mette in comunicazione con la caserma Leoncio
Vidal utilizzando una radio a onde corte. L'ufficiale che gli risponde lo
insulta. La popolazione scende per le strade e osserva felice i soldati
sconfitti davanti alla facciata della caserma, su cui spiccano centinaia di
fori di pallottola. I prigionieri vengono condotti davanti al Che, al comando
ribelle. Anche il Gran Hotel sta per cadere. I cecchini, isolati al decimo
piano, hanno saccheggiato il bar e sono costretti a bere caffè nei posacenere.
Il capitano Zayas colloca un carro armato di fronte all'albergo e distrugge le
finestre a cannonate. Le truppe del tenente Fernàndez iniziano l'assalto. I
cecchini si arrendono. Escono dall'albergo con le mani in alto, fra gli
insulti, una dozzina di poliziotti, spie e torturatori: Barroso, Montano, Alba,
Moya, Campos Vives, El Tigre e il noto delatore Villaya. Rimane solo la Leoncio
Vidal. Lì il comando è stato preso dal colonnello Candido Hernandez, in
sostituzione di Casillas e Fernandez Suero che sono scappati. Dalla radio di
una macchina requisita alla polizia il tenente Hugo del Rio si mette in
contatto con il reggimento: l'ufficiale che gli risponde chiede una tregua. Del
Rio ribatte che solo il Che gliela può concedere, ma accetta di cercare il
comandante ribelle per informarlo della richiesta. Trova il Che al comando, in
riunione con il geografo Jiménez e il dottor Rodriguez de la Vega. Dopo
avergli raccontato quello che sta succedendo, accompagna il Che alla macchina della
polizia e lo mette in comunicazione via radio con il reggimento. Il Che accetta
di mandare Jiménez e Rodriguez de la Vega a un colloquio con il
colonnello Hernandez. Poco dopo quest'ultimo chiede una tregua a tempo
indeterminato, e gli emissari del Che rispondono che non esiste altra
possibilità che la resa senza condizioni. Il colonnello Hernandez ribatte
dicendo di avere già perduto nella battaglia suo fratello e suo figlio e di
aver servito anche troppo la patria, quindi lascia il comando e la decisione ai suoi ufficiali
superiori. Nùfiez e Rodriguez accompagnano il Che che sarà molto secco con il nuovo comandante del reggimento.
Pare che abbia detto: «Senta, comandante, i miei uomini hanno già parlato della
questione con il comando. La scelta è: o resa senza condizioni o fuoco, ma
fuoco sul serio. Senza nessuna tregua. La città ormai è nelle nostre mani. Alle dodici e trenta darò l'ordine di ricominciare l'attacco con tutte le
nostre forze. Prenderemo la caserma al prezzo che risulterà necessario. Voi
sarete responsabile del sangue che sarà versato. Inoltre dovete sapere che c'è
la possibilità che il governo degli Stati Uniti intervenga militarmente a Cuba,
e se è così il vostro reato sarà più grave, perché appoggerete un'invasione
straniera. In questo caso non resterebbe che darvi una pistola in modo che
possiate suicidarvi, perché sapendo questo sareste colpevoli di tradimento nei
confronti di Cuba». Il
comandante Fernàndez torna a conferire con i suoi ufficiali. Nei posti di
guardia avvengono diserzioni, e soldati e ribelli fraternizzano. I militari
esitano. Dato che mancano pochi minuti allo scadere dell'ultimatum e i ribelli
hanno il colpo in canna, accettano una resa negoziata, in modo che sia loro
permesso di abbandonare la caserma disarmati per essere mandati all'Avana via
Caibarién. Viene loro precisato che coloro che hanno commesso atrocità contro
la popolazione resteranno esclusi dall'accordo. Mentre all'esterno della
caserma ha luogo la trattativa e mancano dieci minuti alla ripresa del fuoco,
spontaneamente i soldati cominciano a gettare a terra le armi e ad avanzare
disarmati verso i ribelli.
Nessun commento:
Posta un commento